Identità

La viva testimonianza di come il passato abbia saputo coniugarsi in futuro senza snaturare l’identità di un borgo

“Un assaggio della Costiera senza il clamore del turismo di massa. Una vera e propria perla della Costiera Amalfitana. Questo borgo pittoresco sorge ai piedi del monte Faliero, si distende in una profonda vallata fiancheggiata da vigneti e agrumeti per poi aprirsi a ventaglio sul livello del mare”. Una didascalia di tre righe a corredo di una foto, scattata dal mare: il silenzioso blu delle acque solcato dai surfisti che qui trovano sempre la spinta del vento, la spiaggia della marina colorata da ombrelloni e animata dai bagnanti, un arcobaleno di colori che dipinge una manciata di case incastonate sotto il monte Falerio, i pescatori che rammendano le reti, la cupola maiolicata della chiesa di San Pietro che balza agli occhi come la Torre vicereale, memoria e custode del tempo.

Come un dipinto in cornice, foto e didascalia comparse sul Telegraph nel 2019, quando lo storico e prestigioso quotidiano inglese stilò la classifica dei 19 borghi più belli d’Italia scegliendo tra migliaia di paesini italiani di origine medievale o rinascimentale, affacciati sul mare o arroccati sulle montagne, che rendono unica e speciale l’Italia.

Quella foto e quella didascalia presentavano Cetara, quarta in quella speciale classifica. Una perla della Costiera senza il clamore della Costiera: mai sintesi più aderente alla realtà, la viva testimonianza di come il passato abbia saputo coniugarsi in futuro senza snaturare l’identità di un borgo.

Perché Cetara è un’aggrovigliata storia mediterranea che affonda le radici nel tardo romanico, che non ha mai abbassato la testa nemmeno sotto il saccheggio saraceno o la dominazione longobarda, che si scuote al tempo della Rivoluzione Napoletana del 1799 e che nel 1834 diventa Comune per regio decreto. Perché Cetara è una fertile stratificazione di stili e culture che senza rinnegare il proprio passato ma senza neppure farsi travolgere dalla moda più che dalla modernità, ha valorizzato se stessa e prodotti che altrove sarebbero definiti “poveri” e che invece le hanno conferito vanto, orgoglio, sviluppo, riconoscibilità internazionale.

E così Cetaria (dal latino: tonnara, o cetari: venditori pesci grossi) è diventata Cetara, borgo marinaro di duemila anime che ha la più grande flotta di tonnare non solo dell’intero Mediterraneo, capace di attirare le attenzioni giapponesi. Dire Cetara significa dire alici e significa dire colatura di alici: l’antico garum è diventato il prodotto alimentare (salutare) della cucina moderna e nel 2020 ha ricevuto il riconoscimento Dop. Uno sviluppo trainato dalla ristorazione locale che con la colatura ha visto crescere fama e clientela. Dal mare alla terra, perché sui terrazzamenti si coltiva l’oro giallo, il limone, altro carattere identitario - con lo sfusato amalfitano Igp - di un borgo le cui case candide affacciate sul mare si raccolgono intorno alla piazzetta con l’ex convento, e dalla spiaggia salgono verso la montagna.

Camminare qui è come essere a casa di qualcuno: i vicoli in pietra e stretti sono dei vasi comunicanti tra un’abitazione e l’altra; per strada, tra slarghi e botteghe, c’è sempre qualcuno da salutare o con cui parlare. Un paesino tra montagna e mare, sentieri da percorrere a pieni polmoni, una storia di fatica e dignitosa povertà, una realtà che splende senza necessità di vetrine. È Cetara, bella nella sua intatta semplicità. Come gli altri borghi della Costa d’Amalfi è patrimonio dell'Umanità dal 1997 ma in fondo lo è dal suo primo, secolare, giorno di vita.